Amministrazione di sostegno: poteri gestori da perimetrare in proporzione alle condizioni del beneficiario

La misura non deve comprimere inutilmente la libertà della persona ma deve privilegiarne l’autodeterminazione

Amministrazione di sostegno: poteri gestori da perimetrare in proporzione alle condizioni del beneficiario

L’amministrazione di sostegno deve essere graduata e proporzionata in ragione delle esigenze di tutela della persona, perimetrando perciò i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati alle condizioni di menomazione del beneficiario ed all’incidenza di tali condizioni sulla capacità del soggetto di provvedere ai propri interessi, di modo che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, senza comprimere inutilmente la libertà della persona e privilegiandone il rispetto dell’autodeterminazione.
Questa la posizione assunta dai giudici (ordinanza numero 18549 dell’8 luglio 2025 della Cassazione), i quali, a chiusura di un delicato contenzioso, hanno respinto la richiesta di revoca di un’amministrazione di sostegno, richiesta avanzata dalla persona destinataria di tale misura di tutela. Per i giudici, difatti, il provvedimento è chiaro e lineare, poiché si è appurato che la persona soffre di psicosi schifo-affettiva. Ancora più in dettaglio, la capacità di determinarsi della persona è legata al riacutizzarsi, o meno, degli effetti della patologia, a loro volta connessi inscindibilmente alla continuità e stabilità del percorso terapeutico.
In sostanza, la persona, a causa delle condizioni di salute accertate, si trova nella possibilità di provvedere ai propri interessi, avendo una adeguata capacità di comprendere con pienezza i propri bisogni e di predisporre i mezzi necessari a soddisfarli, ma, allo stesso tempo, è in una condizione di fragilità, posto che per lei è comunque indispensabile la stabilità del percorso terapeutico la cui interruzione, anche solo temporanea, è in grado di determinare l’impossibilità di attendere ai propri interessi con adeguata consapevolezza.
A fronte di tale quadro, si è operato, secondo i giudici, un contemperamento tra le esigenze della persona e le richieste da lei avanzate sul presupposto della obiettiva (innegabile) esistenza della patologia e della circostanza che l’attuale sua capacità è strettamente dipendente dal rispetto del percorso terapeutico impostato, la cui interruzione può determinare (e ha già determinato, in passato) il riacutizzarsi della patologia.
Per i giudici, quindi, la misura adottata non rappresenta una indebita compressione della capacità della persona di autodeterminarsi, pur avendo lei dedotto l’esistenza di una rete familiare capace di curarne gli interessi. Su quest’ultimo fronte, difatti, la rete familiare è risultata priva di quei connotati di stabilità che avrebbero potuto assicurare la tutela degli interessi della persona, anzi è emerso, complessivamente e storicamente, un disinteresse, da parte di quel nucleo, nei periodi più critici, disinteresse poi seguito da un avvicinamento dopo il miglioramento delle condizioni di salute della persona.
Da non dimenticare, infine, secondo i giudici, l’ingente patrimonio della persona, poiché da tale dettaglio derivano speciali esigenze di cura dei suoi interessi della stessa, secondo una valutazione che non è ipotetica ma attuale e che non si esaurisce nella considerazione delle sole isolate esigenze di gestione patrimoniale ma guarda al quadro complessivo.
Non a caso, la persona rimane, anche considerando i miglioramenti del suo stato di salute, rimane sostanzialmente libera di compiere qualsiasi, atto salvo quelli di straordinaria amministrazione, da compiersi con la necessaria assistenza dell’amministratore di sostegno.

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