Cambio di fede e successiva disaffezione verso il marito: separazione addebitabile alla donna

Il mero fatto di dormire separati, come nel caso preso in esame, non è sufficiente per considerare accertata e irreversibile (e precedente alle scelte compiute dalla donna) la crisi della coppia

Cambio di fede e successiva disaffezione verso il marito: separazione addebitabile alla donna

In questo quadro i giudici aggiungono un ulteriore elemento: è necessario valutare con attenzione il rapporto coniugale e l’eventuale comune stile di vita prima della decisione della donna di optare per una fede religiosa differente da quella condivisa sino ad allora col marito. I giudici precisano, innanzitutto, che il mutamento di fede religiosa e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto, configurandosi come esercizio, da parte della donna, dei diritti garantiti dalla Costituzione, non possono di per sé considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che l’adesione al nuovo credo religioso non si traduca in comportamenti incompatibili con i doveri di coniuge previsti dal Codice Civile, in tal modo determinando una situazione di improseguibilità della convivenza Nella vicenda presa in esame, però, sul fronte della esistenza di un nesso tra i comportamenti della donna ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza coniugale, un testimone ha riferito di atteggiamenti di disaffezione, essendosi la donna rifiutata di cucinare, di occuparsi della casa e del bucato, senza dimenticare, poi, le continue denigrazioni e richieste di soldi della donna nei confronti del marito. Tali condotte, consistite, almeno in apparenza, in un comportamento moralmente violento, debbono essere considerate incompatibili con gli obblighi di assistenza morale e materiale e collaborazione nell’interesse della famiglia a cui ciascuno dei coniugi è tenuto e possono assumere incidenza causale effettiva e preminente rispetto a qualsiasi causa eventualmente preesistente di crisi dell’affectio coniugalis, concludono i magistrati. (Ordinanza 19502 del 10 luglio 2023 della Cassazione)

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