Come si disconosce la firma su una scrittura privata?
La semplice dichiarazione “di nutrire forti dubbi” sull'autenticità della firma apposta sulla scrittura privata non è sufficiente per configurare un formale disconoscimento della stessa.

Tizia aveva prestato una somma di denaro a Caia. Successivamente Tizia ne chiedeva la restituzione dinanzi al Tribunale presentando una scrittura privata con cui Caia riconosceva il proprio debito. Considerando che Caia era deceduta prima dell’inizio del processo, venivano chiamati in giudizio gli eredi che davanti al giudice dichiaravano di “nutrire forti dubbi” circa l'autenticità della firma di Caia e della data posta sulla scrittura privata.
Si pone quindi il problema della natura processuale di tale dichiarazione e delle possibili conseguenze legali.
Secondo il codice di procedura civile, il disconoscimento di una scrittura privata non richiede l'uso di formule sacramentali o speciali ma deve avvenire in modo non equivoco, cioè mediante la contestazione dell'autenticità della scrittura nella sua interezza oppure limitatamente alla sua sottoscrizione. Di conseguenza, non può essere considerata sufficiente una dichiarazione che contesti genericamente la documentazione prodotta.
Nel caso degli eredi però c’è un’eccezione. L’art. 214, comma 2, del codice di procedura civile afferma infatti che gli eredi possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione. Tuttavia, essi sono comunque tenuti a manifestare una volontà inequivoca e priva di contraddizioni o incertezze.
Tornando al caso di specie, la mera dichiarazione di “nutrire forti dubbi” non rispecchia tali requisiti e quindi non costituisce una valida dichiarazione di disconoscimento.
Secondo la Cassazione dunque i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere la scrittura implicitamente riconosciuta (Cass. civ., sez. II, sent., 18 luglio 2024, n. 19850).