Contratti di distribuzione: valutare gli effetti reali delle clausole di esclusiva

Tocca alla Autorità garante della concorrenza e del mercato valutare l’effettiva capacità preclusiva della clausola, tenendo conto anche degli elementi di prova presentati dall’impresa che si presume sia in posizione dominante

Contratti di distribuzione: valutare gli effetti reali delle clausole di esclusiva

Abuso di posizione dominante: le clausole di esclusiva contenute nei contratti di distribuzione devono possedere la capacità di produrre effetti preclusivi. E in questa ottica l’Antitrust italiana è obbligata, precisano i giudici, a valutare tale effettiva capacità preclusiva, tenendo conto anche degli elementi di prova presentati dall’impresa in posizione dominante. A originare il contenzioso è stata la decisione con cui, nell’ottobre del 2017, l’Autorità italiana garante della concorrenza e del mercato ha constatato che la Unilever Italia Mkt. Operations Srl aveva abusato della sua posizione dominante sul mercato italiano della commercializzazione dei gelati in confezioni individuali destinate ad essere consumate all’esterno, vale a dire fuori dal domicilio dei consumatori, in diversi punti di vendita. L’abuso contestato alla Unilever risultava da comportamenti materialmente messi in atto non da questa società, ma da distributori indipendenti dei suoi prodotti, che avevano imposto clausole di esclusiva ai gestori di detti punti vendita. A tal riguardo, l’Antitrust ha ritenuto che le pratiche oggetto della sua indagine avessero escluso, o quantomeno limitato, la possibilità per gli operatori concorrenti di esercitare una concorrenza fondata sui meriti dei loro prodotti. In tale contesto, però, l’Antitrust non ha ritenuto di essere obbligata ad analizzare gli studi economici prodotti dalla Unilever al fine di dimostrare che le pratiche controverse non avevano effetti preclusivi nei confronti dei suoi concorrenti almeno altrettanto efficienti, con la motivazione che tali studi erano del tutto irrilevanti in presenza di clausole di esclusiva, dato che l’impiego di tali clausole da parte di un’impresa detentrice di una posizione dominante sarebbe sufficiente a configurare un abuso di tale posizione. Conseguentemente, è stata inflitta alla Unilever un’ammenda pari a oltre 60.000.000 di euro per aver abusato della sua posizione dominante. A fare chiarezza hanno provveduto i giudici comunitari, precisando, tra l’altro, le modalità di attuazione del divieto di abuso di posizione dominante a fronte di un’impresa dominante, la cui rete di distribuzione sia organizzata esclusivamente su una base contrattuale, e specificando, in tale contesto, l’onere della prova che incombe all’autorità nazionale garante della concorrenza. Innanzitutto i giudici hanno sancito che i comportamenti abusivi dei distributori che fanno parte della rete di distribuzione di un produttore che gode di una posizione dominante, quale la Unilever, possono essere imputati a quest’ultimo se risulta accertato che tali comportamenti non sono stati adottati in modo indipendente dai suoi distributori, ma fanno parte di una politica decisa unilateralmente da tale produttore e attuata tramite tali distributori. Infatti, in un’ipotesi di tal genere, i distributori e, di conseguenza, la rete di distribuzione che questi ultimi formano con l’impresa dominante devono essere considerati semplicemente uno strumento di ramificazione territoriale della politica commerciale di detta impresa e, a tale titolo, come lo strumento tramite il quale, eventualmente, è stata attuata la pratica di esclusione di cui trattasi. Ciò vale, in particolare, quando, come nel caso di specie, i distributori di un produttore dominante sono tenuti a far firmare ai gestori dei punti di vendita contratti standard forniti da tale produttore e contenenti clausole di esclusiva a vantaggio dei suoi prodotti. I giudici hanno poi chiarito che un abuso di posizione dominante può essere accertato, segnatamente, quando il comportamento contestato abbia prodotto effetti preclusivi nei confronti di concorrenti di efficienza quantomeno pari all’autore di tale comportamento in termini di struttura dei costi, di capacità di innovazione o di qualità o, ancora, qualora detto comportamento si sia basato sull’utilizzo di mezzi diversi da quelli riconducibili ad una concorrenza normale, vale a dire fondata sui meriti. In questa ottica spetta alle Autorità garanti della concorrenza dimostrare il carattere abusivo di un comportamento alla luce di tutte le circostanze di fatto rilevanti che accompagnano il comportamento esaminato, il che include quelle messe in evidenza dagli elementi di prova dedotti a sua difesa dall’impresa in posizione dominante. È vero, poi, che, per dimostrare il carattere abusivo di un comportamento, un’Autorità garante della concorrenza non deve necessariamente dimostrare che tale comportamento abbia effettivamente prodotto effetti anticoncorrenziali, essendo sufficiente dimostrare che, durante il periodo in cui il comportamento in questione è stato attuato, esso aveva, nelle circostanze del caso di specie, la capacità di restringere la concorrenza basata sui meriti nonostante la sua mancanza di effetti. Tuttavia, tale dimostrazione deve fondarsi, in linea di principio, su elementi di prova tangibili, che dimostrino, al di là della semplice ipotesi, la capacità effettiva della pratica in questione di produrre tali effetti, laddove l’esistenza di un dubbio al riguardo deve andare a vantaggio dell’impresa che ha fatto ricorso a detta pratica. In questo quadro, però, va aggiunto, concludono i giudici, che la produzione da parte della società sotto accusa, nel corso del procedimento, di prove idonee a dimostrare l’inidoneità a produrre effetti restrittivi fa sorgere l’obbligo, per l’Autorità garante della concorrenza, di esaminare quei documenti. (Sentenza del 19 gennaio 2023 della Corte di giustizia dell’Unione Europea)

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