Divorzio e mantenimento dei figli: gli accordi di negoziazione assistita possono essere modificati dal giudice?
Secondo la Cassazione, il giudice può intervenire sugli accordi stipulati dalla coppia in sede di negoziazione assistita per la soluzione consensuale del divorzio solo se sussiste una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche dei genitori

Alcuni anni dopo il divorzio, due ex coniugi proponevano ricorso per chiedere la modifica delle condizioni concordate in sede di negoziazione assistita.
In quell’occasione avevano infatti stabilito il regime di affido condiviso delle figlie, con collocamento prevalente presso la madre, e un contributo mensile a carico del padre di 500 euro per ciascuna figlia, oltre al 67% delle spese straordinarie e un ulteriore contributo di 400 euro per la baby sitter.
Il Tribunale modificava solo il calendario di visita del padre e respingeva ogni altra domanda. La ex moglie faceva reclamo in appello lamentando l’illegittimo rigetto della domanda di aumento del contributo paterno per le figlie a fronte del mancato versamento della cifra originariamente fissata a carico del padre. La Corte d’appello però dichiarava inammissibile il ricorso, sottolineando che l’inadempimento doveva essere affrontato con procedure esecutive e non con la richiesta di aumento del contributo.
Avverso tale decisione, l’ex moglie proponeva ricorso in Cassazione senza però avere successo.
La Suprema Corte evidenzia che il contributo al mantenimento delle minori era stato concordemente determinato dai genitori in sede di negoziazione assistita. Il giudice non può successivamente tornare sul punto per effettuare una nuova e autonoma valutazione dell’assegno di mantenimento, né può prendere in esame fatti anteriori, dovendosi limitare a verificare se e in quale misura eventuali circostanze sopravvenute abbiano modificato la situazione economica delle parti per adeguare l’importo.
Nel nostro caso, l’ex moglie aveva invece affermato che non vi erano sopravvenienze e chiedeva la revisione dell’assegno solo per la sproporzione dei redditi.
In conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso (Cass. civ., sez. I, ord., 15 luglio 2024, n. 19388).