Eccessivi cinque anni di reclusione per la contraffazione di un marchio

Una pena minima di cinque anni di reclusione in caso di contraffazione di un marchio può risultare sproporzionata

Eccessivi cinque anni di reclusione per la contraffazione di un marchio

Questo il paletto fissato dai giudici comunitari, i quali ricordano, in primo luogo, che la contraffazione di un marchio può essere qualificata dal diritto nazionale tanto come illecito amministrativo quanto come reato. A tal riguardo, secondo il principio di legalità dei reati e delle pene, le disposizioni penali devono essere accessibili, prevedibili e chiare con riferimento alla definizione del reato e alla determinazione della pena. In tal senso, ogni cittadino deve capire quale condotta comporti la sua responsabilità penale. La circostanza che la contraffazione di marchi possa dar luogo - in Bulgaria, nel caso specifico -, anche a sanzioni amministrative, non implica una violazione di tale principio. In secondo luogo, i giudici considerano che una disposizione nazionale che, in caso di contraffazione di un marchio ripetuta o con effetti gravemente dannosi, prevede una pena minima di cinque anni di reclusione è contraria al diritto dell’Unione Europea. Su questo fronte, in particolare, i giudici precisano che, anche se la direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale non si applica in materia penale, gli Stati membri dell’Unione Europea possono comunque imporre una pena detentiva per alcuni atti di contraffazione di marchi. Difatti, in assenza di misure legislative a livello europeo, gli Stati restano competenti a determinare la natura e l’entità delle sanzioni applicabili. Tuttavia, tali misure repressive devono essere proporzionate, precisano i giudici, i quali aggiungono che la previsione di una pena minima di cinque anni di reclusione per tutti i casi di uso non consentito di un marchio nel commercio non soddisfa tale imperativo, poiché una normativa siffatta non tiene conto, infatti, delle eventuali specificità delle circostanze in cui tali reati sono commessi. (Sentenza del 19 ottobre 2023 della Corte di giustizia dell’Unione Europea)

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