Il disagio manifestato dal minore legittima il collocamento in una ‘casa famiglia’
Sacrosanto il trasferimento del minore in una ‘casa famiglia’, nonostante l’opposizione della madre

Se alla luce anche delle relazioni fornite dal ‘Servizio sociale’ in merito alla condotta del bambino a scuola e al ‘Centro minori’, emergono con evidenza i pericoli connessi alla possibilità di mantenerlo nell’ambiente familiare, pericoli certificati dai gravi segnali di malessere da lui manifestati e consistenti, tra l’altro, in verbalizzazioni di intento suicidario, continui agiti autolesivi, aggressioni agli altri minori e ricerca di situazioni di pericolo per la propria incolumità, il trasferimento è inevitabile. Fondate, secondo i giudici, quindi, le ragioni del provvedimento di collocamento del minore in una ‘casa famiglia’, anche alla luce delle dinamiche disfunzionali della madre nella relazione con il figlio, di alcuni episodi di maltrattamento in ambito familiare e in ragione degli intenti suicidari manifestati dal bambino. Inevitabile e sufficiente il riferimento alla normativa secondo cui quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone incapaci, per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi, di provvedere alla sua educazione, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione. (Ordinanza 31036 dell’8 novembre 2023 della Cassazione)