Incrementi di valore di azioni o quote sociali: catalogabili come plusvalenze

Nessun ostacolo, alla luce della disciplina fissata dall’Unione Europea, all’applicazione della normativa nazionale

Incrementi di valore di azioni o quote sociali: catalogabili come plusvalenze

Compatibile con la disciplina fissata dall’Unione Europea la normativa tributaria nazionale che considera plusvalenze latenti gli incrementi di valore di azioni o quote sociali registrati da una società in uno Stato membro dell’Unione Europea dopo il trasferimento della sua sede statutaria in quest’ultimo Stato, non tenendo conto delle precedenti riduzioni di valore registrate in un altro Stato membro dell’Unione Europea. Nessuna censura, quindi, per la normativa tributaria nazionale che prevede che gli incrementi di valore da azioni o quote di società registrati da una società in uno Stato, dopo il trasferimento della sua sede statutaria in quest’ultimo Stato, vengano trattati come plusvalenze latenti, senza tener conto se tali azioni o tali quote abbiano dato luogo alla registrazione di riduzioni di valore da parte della società in un momento in cui essa aveva la residenza fiscale in un altro Stato. I giudici precisano che la disciplina europea consente il beneficio della libertà di stabilimento alle società costituite coerentemente con la normativa di uno Stato e con la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione Europea e tale beneficio include il diritto, per la società, di trasferire la sua sede sociale, la sua amministrazione centrale o il suo centro di attività principale in un altro Stato. Pertanto, una società costituita secondo il diritto di uno Stato, che trasferisce la propria sede statutaria in un altro Stato, può far leva sulla disciplina comunitaria per contestare le conseguenze fiscali del trasferimento nello Stato ospitante. Tuttavia, la normativa europea non garantisce, precisano i giudici, che un trasferimento del genere risulti neutro dal punto di vista della imposizione fiscale, in ragione delle differenze esistenti tra le normative vigenti nei diversi Stati, in quanto la libertà di stabilimento non comporta l’obbligo per uno Stato di adeguare le proprie norme tributarie a quelle degli altri Stati, al fine di garantire, in ogni situazione, una tassazione che elimini qualsiasi disparità derivante dalle normative tributarie nazionali. (Sentenza del 10 novembre 2022 della Corte di giustizia dell’Unione Europea)

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