La Corte di Giustizia europea ha sospeso il funzionamento dell’ex Ilva di Taranto
La CGUE ha stabilito che nel caso in cui l'acciaieria rappresenti una minaccia seria e significativa per l'ambiente e la salute umana, la sua attività deve essere interrotta. Sarà compito del Tribunale di Milano valutare attentamente tali rischi

La Corte di Giustizia europea ha respinto tutte e tre le domande sollevate dal Tribunale di Milano riguardanti l'interpretazione delle normative europee sulle emissioni inquinanti degli impianti industriali in rapporto alle leggi italiane. Tale conclusione è emersa durante il giudizio relativo all'azione collettiva contro l'ex Ilva di Taranto, intentata da dieci cittadini facenti parte dell'associazione Genitori Tarantini e un bambino di 11 anni con una rara mutazione genetica.
I ricorrenti hanno avanzato richieste che includevano la cessazione delle attività nell'area dell'ex Ilva, la «chiusura delle cokerie», la sospensione delle operazioni fino al rispetto delle prescrizioni dell’AIA e la preparazione di un piano industriale volto a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 50%.
Nel settembre 2022, il Tribunale di Milano aveva temporaneamente sospeso la causa sul provvedimento inibitorio, trasferendo la questione alla Corte di Giustizia. In risposta, la Corte ha enfatizzato che il concetto di "inquinamento" secondo la direttiva sulle emissioni industriali comprende non solo i danni ambientali, ma anche quelli alla salute umana, aspetto non considerato dal governo italiano. Pertanto, l'analisi dell'impatto delle attività di un impianto come l'acciaieria Ilva deve essere parte integrante dei processi di autorizzazione e revisione.
La Corte ha precisato che il procedimento di revisione, contrariamente a quanto sostenuto dall'Ilva e dal governo italiano, non può limitarsi all'imposizione di limiti di emissione per le sostanze inquinanti preventivabili. È necessario considerare le emissioni effettive prodotte dall'impianto durante il suo funzionamento, incluse altre sostanze inquinanti.
In sostanza, la Corte ha affermato che la valutazione dei danni alla salute non può essere ignorata nell'ambito delle autorizzazioni ambientali, le quali devono garantire la tutela da tutte le sostanze nocive rilevate, non solo quelle tradizionalmente note. Di conseguenza, non è ammissibile il protrarsi indefinito dell’applicazione della direttiva ambientale del 2010 da parte della legislazione nazionale. La Corte ha concluso che qualsiasi attività industriale che non rispetti tali normative deve essere sospesa (CGUE, sentenza n. 626/22).