L’impegno profuso a casa della donna non è sufficiente per legittimarne la richiesta di assegno divorzile

Necessario, comunque, un rigoroso controllo del nesso causale tra l’accertata sperequazione fra i mezzi economici dei coniugi e il contributo fornito dal coniuge, che richiede l’assegno, alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due coniugi, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali

L’impegno profuso a casa della donna non è sufficiente per legittimarne la richiesta di assegno divorzile

Non basta, da solo, il riferimento all’impegno profuso dalla donna nella gestione della famiglia durante il matrimonio per consentirle di ottenere l’assegno divorzile. Su questo punto, difatti, i giudici mettono in dubbio l’equazione secondo cui è logico presumere l’apporto fornito, pure solo con il lavoro domestico, dalla donna al consolidarsi del patrimonio immobiliare e professionale del marito. Impossibile, in sostanza, ritenere automatico che il patrimonio immobiliare e professionale che l’uomo è riuscito a consolidare dopo venti anni di matrimonio sia frutto dell’apporto paritario fornito all’epoca, anche solo come lavoro domestico, dalla oramai ex moglie. Per fare chiarezza, i magistrati sottolineano che l’assegno divorzile presuppone un rigoroso controllo del nesso causale tra l’accertata sperequazione fra i mezzi economici dei coniugi e il contributo fornito dal coniuge, che richiede l’assegno, alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due coniugi, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali. Perciò, non può essere condivisa la tesi secondo cui, in derivazione da quell’insieme di regole inderogabili che disciplinano il momento contributivo, cioè gli obblighi che il legislatore pone a carico di ciascun coniuge di collaborare nell’interesse della famiglia e di contribuire ai suoi bisogni, in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, sulla base dell’indirizzo della vita familiare concordato, si possa desumere l’apporto paritetico dato da un coniuge al patrimonio dell’altro coniuge. Invece, a fronte di una disparità reddituale tra gli ex coniugi e di un matrimonio di durata non di pochi anni, è illogico ritenere sia da riconoscere pressoché sempre l’assegno divorzile, presumendo che il coniuge che richiede l’assegno abbia comunque contribuito, in modo, anzi, paritetico, alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge. (Ordinanza 10614 del 20 aprile 2023 della Corte di Cassazione)

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