Pandemia, niente rimborso al turista per il volo di rientro in patria
Il passeggero che si registri da sé sul volo di rimpatrio e versi allo Stato che l’ha organizzato un contributo obbligatorio alle spese non dispone di un diritto al rimborso di tali spese a carico del vettore aereo che doveva effettuare il volo inizialmente previsto e poi saltato

Nel contesto di un’emergenza sanitaria - nello specifico, la pandemia di Covid-19 - il volo di rimpatrio organizzato nel contesto di una misura di assistenza consolare non costituisce volo di riavviamento che il vettore aereo operativo deve offrire ai passeggeri il cui volo è stato cancellato. Di conseguenza, il passeggero che si registri da sé su tale volo di rimpatrio e versi allo Stato che l’ha organizzato un contributo obbligatorio alle spese non dispone, sul fondamento del diritto dell’Unione Europea, di un diritto al rimborso di tali spese a carico del vettore aereo che doveva effettuare il volo inizialmente previsto e poi saltato. Questi i chiarimenti forniti dai giudici, i quali, riassumendo, hanno fissato il principio secondo cui un volo di rimpatrio, organizzato da uno Stato membro nel contesto di una misura di assistenza consolare, a seguito della cancellazione di un volo, non costituisce un riavviamento verso la destinazione finale, in condizioni di trasporto comparabili, ai sensi del regolamento sui diritti dei passeggeri aerei, che deve essere offerto dal vettore aereo operativo al passeggero il cui volo è stato cancellato. I giudici si sono ritrovati a prendere in esame l’istanza di una coppia che, nell’ambito di un viaggio tutto compreso, disponeva di prenotazioni confermate per un volo del 7 marzo 2020 in partenza da Vienna con destinazione Mauritius, nonché per il volo di ritorno del 20 marzo 2020. Entrambi tali voli dovevano essere operati dalla ‘Austrian Airlines’, ma il volo di andata era stato effettuato mentre il 18 marzo 2020 la ‘Austrian Airlines’ aveva cancellato il volo di ritorno, a seguito delle misure adottate dal governo austriaco a causa della pandemia di Covid-19. Soltanto il 19 marzo 2020 la coppia è stata avvertita, dall’organizzatore del viaggio, della cancellazione del volo di ritorno nonché dell’organizzazione di un volo di rimpatrio da parte del Ministero degli Affari esteri austriaco, previsto il 20 marzo 2020, data in cui non era più effettuato alcun volo di linea. La coppia si è registrata per tale volo di rimpatrio sul sito web del Ministero degli Affari esteri austriaco, e ciascuno di essi ha dovuto versare un contributo obbligatorio alle spese, per un importo pari a 500 euro. I giudici hanno chiarito che solo voli commerciali possono essere utilizzati per attuare un riavviamento verso la destinazione finale, in condizioni di trasporto comparabili, al quale il passeggero ha diritto secondo il regolamento sui diritti dei passeggeri aerei in caso di cancellazione del suo volo. Invece, un volo di rimpatrio non ha natura commerciale, in quanto la sua organizzazione si inserisce, in linea di principio, nel contesto delle misure di assistenza consolare di uno Stato. E un passeggero che, a seguito della cancellazione del suo volo di ritorno, si registri da sé per un volo di rimpatrio organizzato da uno Stato membro nel contesto di una misura di assistenza consolare, e a tale titolo sia tenuto a versare a detto Stato un contributo obbligatorio alle spese, non dispone di un diritto al rimborso di tali spese a carico del vettore aereo. Per contro, un siffatto passeggero può far valere, dinanzi a un giudice nazionale, il mancato rispetto da parte del vettore aereo operativo, da un lato, del suo obbligo di rimborsare il biglietto al prezzo al quale è stato acquistato, per la parte o le parti di viaggio non effettuate o divenute inutili rispetto al programma di viaggio iniziale, nonché, dall’altro, del suo obbligo di assistenza, ivi compreso del suo dovere di informazione, e ciò al fine di ottenere un risarcimento a carico di tale vettore aereo operativo. (Sentenza dell’8 giugno 2023 della Corte di giustizia dell’Unione Europea)