Procreazione medicalmente assistita: effettuata la fecondazione, l’uomo non può revocare l’originario consenso

L’irrevocabilità del consenso appare funzionale a salvaguardare i preminenti interessi della donna

Procreazione medicalmente assistita: effettuata la fecondazione, l’uomo non può revocare l’originario consenso

Una volta che la coppia ha intrapreso la strada della procreazione medicalmente assistita per avere un figlio, il consenso dell’uomo non può essere revocato dopo l’avvenuta fecondazione. Questo il principio fissato dai giudici, chiamati a valutare la legittimità della previsione che, nell’ambito della procreazione medicalmente assistita, stabilisce la irrevocabilità del consenso dell’uomo dopo la fecondazione dell’ovulo. La norma presa in esame rende possibile, per effetto della crioconservazione, la richiesta dell’impianto degli embrioni non solo a distanza di tempo ma anche quando sia venuto meno l’originario progetto di coppia. Difatti, nel caso sottoposto ai giudici la donna aveva richiesto l’impianto dell’embrione crioconservato, nonostante nel frattempo fosse intervenuta la separazione dal coniuge. Quest’ultimo si è opposto ritirando il consenso precedentemente prestato, ritenendo di non poter essere obbligato a diventare padre. Inevitabile, quindi, valutare la norma che stabilisce l’irrevocabilità del consenso prestato dall’uomo. Pur riconoscendo che la norma si è venuta a collocare al limite di quelle che sono state definite scelte tragiche, in quanto caratterizzate dall’impossibilità di soddisfare tutti i confliggenti interessi coinvolti nella fattispecie, i giudici hanno evidenziato che l’irrevocabilità del consenso appare funzionale a salvaguardare innanzitutto preminenti interessi, cioè quelli della donna. Difatti, l’accesso alla procreazione medicalmente assistita comporta per la donna il grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze, e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni. Corpo e mente della donna sono quindi inscindibilmente coinvolti in questo processo, che culmina nella concreta speranza di generare un figlio, a seguito dell’impianto dell’embrione nel proprio utero. A questo investimento, fisico ed emotivo, che ha determinato il sorgere di una concreta aspettativa di maternità, la donna si è prestata in virtù dell’affidamento in lei determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale. Inoltre, se è pur vero che dopo la fecondazione la disciplina dell’irrevocabilità del consenso si configura come un punto di non ritorno, che può risultare freddamente indifferente al decorso del tempo e alle vicende della coppia, è anche vero che la centralità che lo stesso consenso assume nella procreazione medicalmente assistita, comunque garantita dalla legge, fa sì che l’uomo sia in ogni caso consapevole della possibilità di diventare padre. Tirando le somme, ove, dunque, si considerino la tutela della salute fisica e psichica della madre, e anche la dignità dell’embrione, risulta non irragionevole la compressione, in ordine alla prospettiva di una paternità, della libertà di autodeterminazione dell’uomo. (Sentenza 161 del 24 luglio 2023 della Corte Costituzionale)  

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