Si dedica alla famiglia e lavora come insegnante, rinunciando alla carriera accademica: sì all’assegno divorzile
Confermato il diritto della donna a percepire ogni mese 600 euro dall’ex marito. Evidente, secondo i giudici, la rinuncia a una possibile carriera a livello di insegnamento universitario

Nello scontro tra coniugi in rotta, una volta ufficializzata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, i giudici di merito sanciscono l’obbligo dell’uomo di versare all’ex moglie l’assegno divorzile. Per quanto concerne la cifra, in Tribunale essa viene fissata in 800 euro al mese, mentre in Appello è ridotta a 600 euro al mese. Per i giudici di secondo grado è inequivocabile il quadro probatorio, che inchioda l’uomo, poiché «è risultato un significativo squilibrio fra le posizioni economico-patrimoniali delle parti, come desumibile dalla documentazione da loro prodotta». In sostanza, «è emersa una solida consistenza economico-patrimoniale dell’ex marito, maggiore di quella risultante dalle dichiarazioni dei redditi, mentre non è stata provata la riduzione dei redditi» da lui lamentata «né la compromissione della sua capacità lavorativa». Per chiudere il cerchio, infine, i giudici d’Appello annotano che «durante il matrimonio, l’uomo ha potuto dedicarsi pienamente alle sue attività, che ne hanno accresciuto il patrimonio, grazie all’aiuto della moglie che si è dedicata alla cura dei figli».
A riprova del sacrificio professionale da lei affrontato per lo svolgimento dei compiti familiari, viene richiamato il fatto che lei, che ha lavorato come insegnante, ha anche sottoscritto ben due contratti con un prestigioso ateneo per «collaborazioni nell’attività didattica per un semestre di lezioni», contratti che, secondo i giudici, avrebbero potuto rappresentare l’avvio di una carriera accademica. Inutili le obiezioni sollevate in Cassazione dall’avvocato che rappresenta l’uomo e mirate a mettere in dubbio soprattutto le rinunce, a livello professionale, sopportate dalla donna per occuparsi della famiglia e per dare così la possibilità all’allora marito di dedicarsi appieno all’attività professionale. Per i giudici di terzo grado è indubbia, come appurato tra primo e secondo grado, la dedizione alla famiglia manifestata dalla donna.
Passando poi al cuore della vicenda, ossia il diritto dell’ex moglie a percepire l’assegno divorzile, i magistrati fanno chiarezza, sancendo che «ai fini del diritto all’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa, non è attribuito rilievo specifico alle motivazioni delle rinunce professionali per la dedizione alla famiglia. A tal fine, quindi, non è richiesto che la suddetta rinuncia da parte dell’ex coniuge sia espressamente motivata in funzione dell’impegno per la famiglia, essendo sufficiente che vi sia il rapporto causale tra tale rinuncia e l’impegno familiare, e che la scelta sia condivisa tra i coniugi e che, attraverso essa, il patrimonio comune o dell’altro coniuge si sia incrementato in ragione della dedizione esclusiva al lavoro del coniuge, indipendentemente dalle motivazioni che hanno indotto alla stessa scelta». Ragionando in questa ottica, i magistrati di Cassazione danno per accertato, nella vicenda presa in esame, lo squilibrio tra la posizione reddituale e patrimoniale tra le parti. (Cass. civ., sez. I, ord., 8 luglio 2024, n. 18506)