Annullamento del mutuo ipotecario viziato da clausole abusive: il consumatore può chiedere una compensazione alla banca
Possibile, chiariscono i giudici, che la compensazione ecceda il quantum rappresentato dal rimborso delle rate mensili versate

Il diritto dell’Unione Europea non osta, nell’ipotesi di annullamento di un contratto di mutuo ipotecario viziato da clausole abusive, a che i consumatori chiedano alla banca una compensazione che ecceda il rimborso delle rate mensili versate. Per contro, esso osta a che la banca reclami pretese analoghe nei confronti dei consumatori. Questi i paletti fissati dai giudici, chiamati a prendere in esame il caso di un consumatore e di sua moglie che nel 2008 hanno concluso un contratto di mutuo ipotecario con una banca. Il mutuo era indicizzato in franchi svizzeri, e le rate mensili dovevano essere pagate in zloty polacchi, previa conversione in applicazione del tasso di cambio di vendita del franco svizzero, conformemente alla tabella dei tassi di cambio di valuta estera applicati dalla banca il giorno del pagamento di ogni rata mensile. Secondo il consumatore e la moglie, le clausole di conversione che determinano il tasso di cambio sono abusive e la loro presenza rende invalido il contratto nella sua interezza. I giudici hanno chiarito che la direttiva europea non disciplina espressamente le conseguenze derivanti dall’invalidità di un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore dopo l’eliminazione delle clausole abusive. La determinazione di dette conseguenze spetta difetta agli Stati, purché le norme stabilite siano compatibili con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva. E detta compatibilità dipende dal fatto che le norme nazionali, da un lato, consentano di ristabilire, in diritto e in fatto, la situazione in cui si sarebbe trovato il consumatore in assenza del contratto dichiarato invalido e, dall’altro, non compromettano l’effetto dissuasivo perseguito dalla direttiva. Secondo i giudici, la facoltà, per un consumatore, di reclamare, nei confronti della banca, crediti che eccedano il rimborso delle rate mensili versate non sembra compromette gli obiettivi menzionati. In particolare, una tale facoltà può contribuire a dissuadere i professionisti dall’inserire clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in quanto il loro inserimento, comportando la nullità di tali contratti, potrebbe causare conseguenze finanziarie superiori alla restituzione degli importi versati dal consumatore e, se del caso, al pagamento di interessi di mora. Tuttavia, spetta al giudice nazionale valutare, alla luce di tutte le circostanze della controversia, se il fatto di accogliere siffatte pretese del consumatore rispetti il principio di proporzionalità. Peraltro, la direttiva osta a che la banca possa chiedere al consumatore una compensazione eccedente il rimborso del capitale versato e il pagamento degli interessi di mora al tasso legale. I giudici ritengono, difatti, che la concessione di un tale diritto contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti. Peraltro, l’effettività della tutela conferita ai consumatori dalla direttiva sarebbe compromessa se questi ultimi, quando reclamano i loro diritti derivanti da tale direttiva, fossero esposti al rischio di dover pagare una siffatta compensazione. Tale interpretazione rischierebbe di creare situazioni in cui sarebbe più vantaggioso, per i consumatori, proseguire l’esecuzione del contratto contenente una clausola abusiva piuttosto che esercitare i diritti che essi traggono dalla suddetta direttiva. I giudici sottolineano poi che, nel caso preso in esame, l’eventuale annullamento del contratto di mutuo ipotecario è una conseguenza dell’impiego di clausole abusive da parte della banca. Di conseguenza, non si può ammettere né che una parte tragga vantaggi economici dal suo comportamento illecito, né che quest’ultima sia risarcita per gli svantaggi provocati da un siffatto comportamento. In questa ottica, poi, l’argomento relativo alla stabilità dei mercati finanziari non è rilevante nell’ambito dell’interpretazione della direttiva, che mira a tutelare i consumatori. Peraltro, i professionisti non possono eludere gli obiettivi perseguiti dalla direttiva adducendo, come motivo, la salvaguardia della stabilità dei mercati finanziari. Infatti, spetta agli istituti bancari organizzare le loro attività in modo conforme a tale direttiva, chiosano i giudici. (Sentenza del 15 giugno 2023 della Corte di giustizia dell’Unione Europea)