Chiarimenti sull’acquisizione della cittadinanza italiana
La cittadinanza italiana è invece persa da colui che ha ottenuto la cittadinanza in Paese estero, sottintendendo, per gli effetti sulla linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti, che si accerti il compimento, da parte della persona all’epoca emigrata, di un atto spontaneo e volontario finalizzato all’acquisto della cittadinanza straniera

I giudici sono stati chiamati a prendere in considerazione la domanda di riconoscimento iure sanguinis della cittadinanza italiana presentata da due uomini quali discendenti in linea diretta di un cittadino italiano, nato in Italia nel 1871, figlio legittimo di padre italiano ed emigrato in Brasile alla fine dell’Ottocento. I giudici sottolineano che, alla luce della tradizione giuridica italiana, la cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo originario iure sanguinis, e lo status di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente, è imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano. In questo quadro si inserisce l’istituto della perdita della cittadinanza italiana. Su questo fronte la cittadinanza italiana è persa da colui che ha ottenuto la cittadinanza in paese estero, sottintendendo, per gli effetti sulla linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti, che si accerti il compimento, da parte della persona all’epoca emigrata, di un atto spontaneo e volontario finalizzato all’acquisto della cittadinanza straniera, senza che l’aver stabilito all’estero la residenza, possa considerarsi bastevole a integrare la fattispecie estintiva dello status per accettazione tacita degli effetti di quel provvedimento. Il diritto si può perdere per rinuncia, ma purché volontaria ed esplicita, in ossequio alla libertà individuale, e quindi mai per rinunzia tacita. A questo proposito, la fattispecie di perdita della cittadinanza italiana, correlata all’accettazione di un impiego da un governo estero senza permissione del governo italiano, deve essere intesa come comprensiva dei soli impieghi governativi strettamente intesi, che abbiano avuto come conseguenza l’assunzione di pubbliche funzioni all’estero tali da imporre obblighi di gerarchia e fedeltà verso lo Stato straniero, di natura stabile e tendenzialmente definitiva, così da non poter essere integrata dalla mera circostanza dell’avvenuto svolgimento all’estero di una qualsivoglia attività di lavoro, pubblico o privato. (Sentenza 25317 del 24 agosto 2022 della Corte di Cassazione)