Decisione definitiva di ritorno di un minore: stop alle autorità nazionali che ingiustificatamente ne ottengono la sospensione
I giudici competenti degli Stati membri sono tenuti ad adottare la decisione di ritorno del minore entro un termine particolarmente breve e rigido

Stop dall’Unione Europea all’ipotesi che le autorità nazionali possano ottenere, senza giustificazione, la sospensione di una decisione definitiva di ritorno di un minore. Ciò perché l’imperativo di efficacia e di celerità che disciplina l’adozione di una decisione di ritorno di un minore s’impone anche nell’ambito dell’esecuzione di una siffatta decisione. Questo il paletto fissato dai giudici comunitari, chiamati a prendere in esame un peculiare aspetto del Codice di procedura civile polacco che dal 2022 consente al Procuratore generale, al Difensore civico per i minori e al Difensore civico di ottenere la sospensione dell’esecuzione di una decisione giudiziaria definitiva che dispone il ritorno di minori, emessa in base alla Convenzione dell’Aia sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. Secondo la normativa nazionale, in sostanza, tali autorità non sono tenute a motivare la loro domanda di sospensione, domanda che determina la sospensione dell’esecuzione per un periodo di due mesi. Inoltre, qualora tali autorità propongano ricorso per cassazione avverso la decisione di ritorno, la sospensione è prorogata di diritto fino alla conclusione del procedimento dinanzi alla Corte suprema. Per di più, anche laddove tale impugnazione fosse respinta, la sospensione potrebbe essere nuovamente ottenuta nell’ambito di un’impugnazione straordinaria. Il caso preso in esame ha riguardato due minori che sono nati in Irlanda da genitori polacchi e lì hanno risieduto dalla nascita. Nel corso dell’estate 2021 i minori e la loro madre sono andati in vacanza in Polonia, con il consenso del padre. Nel settembre 2021 la madre ha informato il padre che sarebbe rimasta in modo permanente in Polonia insieme ai figli. Il padre, il quale non aveva acconsentito a un siffatto trasferimento permanente, ha proposto dinanzi agli organi giurisdizionali polacchi una domanda di ritorno dei figli. La Corte d’appello di Varsavia ha confermato l’ordinanza del giudice di primo grado che aveva disposto il ritorno in Irlanda dei due minori. Dopo che la decisione di ritorno è divenuta esecutiva, però, il Difensore civico per i minori e il Procuratore generale hanno, rispettivamente, chiesto la sospensione della relativa esecuzione. I giudici comunitari hanno censurato la normativa polacca, ricordando, innanzitutto, che i giudici competenti degli Stati membri sono tenuti ad adottare la decisione di ritorno del minore entro un termine particolarmente breve e rigido. In linea di principio, una siffatta decisione dev’essere adottata entro e non oltre sei settimane dalla domanda, utilizzando le procedure più rapide previste nella legislazione nazionale. E il ritorno di un minore illecitamente sottratto può non essere disposto solo in casi specifici ed eccezionali, debitamente giustificati. Invece, la legislazione polacca non garantisce, osservano i giudici, che il ritorno del minore nel suo luogo di residenza abituale possa essere sospeso solo in casi specifici, eccezionali e debitamente motivati. Infine, il diritto dell’Unione Europea non impone agli Stati di prevedere un ulteriore grado di giudizio avverso la decisione di ritorno, qualora tale decisione sia stata adottata nell’ambito di un procedimento che preveda già due gradi di giudizio e qualora detto procedimento consenta di tenere in considerazione l’esistenza di rischi in caso di ritorno del minore interessato. A fortiori, tale diritto non permette agli Stati membri di attribuire un effetto sospensivo automatico ai ricorsi proposti avverso una siffatta decisione, come quello previsto dalla legislazione polacca. (Sentenza del 16 febbraio 2023 della Corte di giustizia dell’Unione Europea)