Immobile alla donna anche se spesso si trasferisce col figlio dai nonni materni
I giudici precisano che, in tema di separazione personale dei coniugi, l’allontanamento infrasettimanale dalla casa familiare per cinque giorni lavorativi, ove determinato da ragioni di lavoro e di accudimento di un figlio minore, non è connotato dal carattere di stabilità che integra la condizione essenziale per la revoca dell’assegnazione della casa familiare
Illegittima la revoca dell’assegnazione della casa coniugale all’ex moglie se motivata esclusivamente col temporaneo trasferimento della donna e del figlio presso la casa dei nonni materni. Questo il punto fermo fissato dai giudici (ordinanza numero 22726 del 12 agosto 2024 della Cassazione), i quali, analizzando da vicino la delicata vicenda, hanno preso nota del fatto che il bambino si è trasferito con la madre presso l’abitazione dei nonni materni e lì ha vissuto continuativamente, mentre, per il periodo precedente, risulta provato che la sua permanenza presso l’abitazione paterna non è stata continuativa, ad eccezione del periodo immediatamente successivo alla nascita. Ciò non basta, però, per ritenere che, in ragione della brevità e non continuità dei periodi in cui il bambino ha soggiornato presso l’abitazione paterna durante la convivenza dei genitori, quell’abitazione non abbia effettivamente costituito per il bambino l’habitat domestico familiare, e che quindi non vi sia spazio per l’applicazione dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare, in cui peraltro il bambino non vive più con i genitori. Su questa tematica, difatti, i magistrati precisano che, nei casi di crisi familiare, nel regolare il godimento della casa familiare il giudice deve tener conto esclusivamente del primario interesse del figlio minore, con la conseguenza che l’abitazione in cui quest’ultimo ha vissuto quando la famiglia era unita deve essere, di regola, assegnata al genitore presso cui il minore è collocato con prevalenza, a meno che non venga esplicitata una diversa soluzione (anche concordata dai genitori) che meglio tuteli il menzionato interesse del minore. Ciò, in quanto va tutelato l’ambiente ove il minore ha cominciato a vivere e a relazionarsi come persona, tanto da considerare quell’abitazione come la proiezione nello spazio della sua identità all’interno di uno specifico contesto ambientale e sociale. In questo quadro, quindi, va valutata con attenzione la ragione dell’allontanamento dei coniugi e del minore dall’immobile, onde accertare se l’allontanamento sia avvenuto solo temporaneamente, e sia stata la conseguenza delle prime incomprensioni tra le parti, perché in tal caso non impedisce di considerare l’abitazione quale casa familiare. Dunque, deve valutarsi l’esistenza di uno stabile legame fra il minore l’immobile già adibito a casa familiare, verificando, in caso di allontanamento e in considerazione del tempo trascorso, la persistenza di tale legame tra il minore l’abitazione, dovendo escludersi ovviamente che possa essere qualificato come casa familiare l’immobile in cui la coppia coniugata o non coniugata non abbia mai convissuto prima della nascita del figlio. Applicando questa prospettiva alla vicenda esaminata dai giudici, viene evidenziato che nella casa coniugale ha vissuto ininterrottamente, per oltre un anno, la famiglia dalla nascita del figlio, e non poteva in alcun modo inficiare il riconoscimento della casa coniugale in quell’immobile la circostanza che la donna, come da lei ammesso, era solita trasferirsi con il bambino presso la casa dei propri genitori. Per chiudere il cerchio, infine, i giudici precisano che, in tema di separazione personale dei coniugi, l’allontanamento infrasettimanale dalla casa familiare per cinque giorni lavorativi, ove determinato da ragioni di lavoro e di accudimento di un figlio minore, non è connotato dal carattere di stabilità che integra la condizione essenziale per la revoca dell’assegnazione della casa familiare.