La condanna penale non basta per negare la protezione allo straniero
Necessario valutare il processo di integrazione compiuto in Italia dal cittadino extracomunitario

La condanna penale con patteggiamento subita dallo straniero non basta per negargli la protezione umanitaria in Italia. Ciò perché il provvedimento giudiziario risale, precisano i giudici, a otto anni fa, mentre successivamente lo straniero non ha tenuto altre condotte antigiuridiche bensì ha intrapreso un percorso d’integrazione sociale attraverso un’attività lavorativa e l’inserimento del figlio minore nel tessuto scolastico italiano. In premessa, i magistrati osservano che l’assunzione a tempo indeterminato dello straniero e la frequentazione scolastica del figlio minore costituiscono indici inequivoci d’integrazione sociale in Italia. Centrale è però il riferimento a una sentenza di condanna con patteggiamento inflitta nel 2014 allo straniero. Quel provvedimento giudiziario non può dirsi ostativo al riconoscimento della protezione umanitaria, poiché, spiegano i magistrati, ad esso non è seguita alcuna altra condotta illecita espressiva di una personalità incline a delinquere. E poi bisogna tenere presente la funzione rieducativa della pena: in questa ottica i giudici sottolineano che dalla condanna sono decorsi circa otto anni senza l’accertamento della reiterazione del reato o di condotte antigiuridiche, mentre, al contrario, successivamente a quella condanna il cittadino straniero ha intrapreso un indubbio percorso d’integrazione sociale attraverso un’attività lavorativa e l’inserimento del figlio minore nel tessuto scolastico italiano. (Ordinanza 26612 del 9 settembre 2022 della Corte di Cassazione)